Giornalisti internazionali e giornalisti palestinesi, narrazione ufficiale della propaganda israeliana e contro narrazione sul genocidio
Dal momento che la stampa internazionale si adegua alla censura sionista, i giornalisti palestinesi locali denunciando i crimini di guerra israeliani e fornendo al mondo una contro narrazione differente da quella ufficiale, rappresentano un grave ostacolo per la propaganda bellica d’Israele.
L’1 aprile il primo ministro israeliano Netanyahu ha scritto su X “il canale terroristico Al Jazeera non trasmetterà più da Israele. Ho intenzione di agire immediatamente in conformità con la nuova legge per fermare l’attività del canale”. La legge in questione approvata dalla Knesset nel mese di maggio ha permesso non solo la chiusura degli uffici di Al Jazeera a Gerusalemme, ma anche di altre agenzie di stampa.
Il 22 settembre l’esercito d’occupazione ha fatto irruzione nella sede di Al Jazeera a Ramallah, “capitale” dell’Autorità Nazionale Palestinese, imponendo anche qui la chiusura degli uffici.
La censura contro la principale emittente in lingua araba da parte di Israele rientra nel piano
di repressione contro la libera circolazione dell’informazione sul genocidio a Gaza.
Non sorprende quindi il divieto imposto ai giornalisti internazionali di accedere a Gaza,
Israele non può rischiare che le violenze barbariche di cui è colpevole vengano documentate
e mostrate al mondo anche da “fonti esterne”, non può rischiare che la sua ferocia contro i civili palestinesi venga denunciata da giornalisti non asserviti all’unica narrazione ammessa, quella dell’invasore genocida.
I giornalisti palestinesi rappresentano l’unica voce sul campo, le loro riprese effettuate spesso da smartphone in condizioni precarie sono l’unica fonte di informazione reale e mostrano il vero volto di Israele scoprendo quel velo di intoccabilità che una certa stampa
allineata gli regge.
Israele teme la libertà di stampa e i giornalisti liberi costituiscono un ostacolo nell’attuazione
del piano genocidario, quindi devono essere eliminati.
I giornalisti palestinesi minacciano la narrazione ufficiale
Ranin Abahra, una giornalista di Jenin, ha dichiarato a The New Arab:
“L’esercito israeliano non vuole che l’immagine o la voce escano. C’è un impatto sui
giornalisti palestinesi che trasmettono una narrazione e una storia onesta sui palestinesi,
quindi l’esercito intensifica l’attacco ai giornalisti”
I giornalisti palestinesi sono la voce del popolo oppresso dalla potenza occupante, non
documentano l’oppressione e le pratiche genocidarie con la lente deformante di chi si trova
sul posto solo per assolvere ad un impegno lavorativo, vivono sulla loro pelle i crimini di guerra dell’esercito israeliano, vedono con i loro occhi attorno a sé, in ogni momento del giorno e della notte, il dolore impresso sui volti dei civili palestinesi, sentono continuamente
le urla strazianti delle madri e i pianti dei bambini terrorizzati.
I giornalisti palestinesi vivono lo stesso incubo dei civili, simultaneamente, mentre lo documentano, mostrano una realtà senza filtri che irrimediabilmente sconfessa la manipolazione mediatica, radicata da sempre nella strategia militare sionista, presentando Israele agli occhi della comunità internazionale sotto una luce differente.
Israele sa che la possibilità di continuare le operazioni belliche a Gaza e in Libano dipende in
buona parte dal sostengo militare statunitense e delle altre nazioni occidentali, per questa
ragione manipola il modo in cui viene percepita dall’opinione pubblica e dalla comunità
politica mondiale, fin dalla creazione dello Stato nel 1948, i sionisti sono consci del fatto che
la guerra coloniale ed espansionistica nelle terre dei nativi palestinesi potrà andare avanti solo grazie ad
una narrazione in cui i colonizzatori sono le vittime che attaccate dai selvaggi nativi devono difendersi per sopravvivere.
La guerra non si combatte solo sul campo militare me anche attraverso le narrazioni in cui si
insiste con l’immagine di Israele come “unica democrazia del Medio Oriente, la cui sicurezza
è minacciata da barbari islamici, incivili e terroristi” o “animali umani”.
Giornalisti internazionali allineati alla narrazione israeliana
Dei 4000 giornalisti internazionali accreditati, la maggioranza ha accettato senza particolari scrupoli etici di prostrarsi alla narrazione ufficiale dello stato d’Israele.
Per esempio i reportage di tutti i giornalisti dell’emittente televisiva americana CNN, prima di essere pubblicati devono passare al vaglio dell’ufficio di Gerusalemme per verificare che siano state rispettate le regole che impongono una rigida aderenza alle versioni ufficiali. Il New York Time invece ha obbligato i propri reporter e giornalisti a mettere al bando o limitare alcuni termini che contrastano con la narrazione del potere sionista, la censura attuata mira a cancellare dal vocabolario espressioni rappresentanti la realtà storica della Palestina, come “Territori occupati”, “genocidio”, “pulizie etniche”, non si può lasciare campo libero alla stampa permettendole di mettere in discussione la narrazione governativa secondo cui sarebbe in corso “una guerra difensiva”iniziata dopo gli attacchi del 7 ottobre da parte della resistenza di Hamas.
Come riferisce “The intercept”, i giornalisti accreditati non possono neppure usare l’espressione “campi profughi” quando fanno riferimento a quelle zone di Gaza densamente popolate da migliaia di palestinesi cacciati via da altre aree della Palestina, parlano dei palestinesi in forma passiva e non menzionano mai direttamente Israele come responsabile delle carneficine.
Robert Fisk ritiene che questi giornalisti siano “prigionieri del linguaggio del potere”, poiché fanno propri i termini e le rappresentazioni utili alla narrazione ufficiale, “lotta al terrorismo”, “ diritto di Israele a difendersi”, “ soluzione dei due Stati”.
I “bravi giornalisti”, utili idioti al servizio della propaganda, soggiornano in alberghi di lusso, quotidianamente prendono parte alle conferenze stampa, riportano i bollettini ufficiali, spesso partono per visite lampo a Gaza al seguito dell’esercito d’occupazione israeliano che gli mostrerà fantomatici tunnel usati come nascondigli di armi da Hamas.
Non si sporcano le mani andando a constatare con i propri occhi ciò che sta accadendo veramente, si tengono alla larga dalla gente comune, non sono minimamente interessati alla verità, ma nascondendosi dietro la scritta “press” finiscono per diventare la cassa di risonanza della versione del “più forte” a scapito del popolo sofferente.
Articolo completo pubblicato originariamente su Ultima Voce: https://www.ultimavoce.it/giornalisti-e-censura-
Dedico questo articolo a tutti i giornalisti caduti come martiri a Gaza, in Cisgiordania e in Libano.
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